This content is blocked due to privacy reasons, you need to allow the use of cookies.
This content is blocked due to privacy reasons, you need to allow the use of cookies.

Nel suo libro “Il silenzio”, Erling Kagge – scrittore ed esploratore norvegese che per primo ha raggiunto in solitaria il Polo Sud – scrive come l’esperienza del silenzio vissuta nel suo lungo viaggio tra i ghiacci dell’Antartide gli abbia permesso di espandere i suoi sensi oltre i confini in cui erano costretti.

Ascoltare i propri suoni interiori: respiro, circolazione del sangue,… arrivando a percepire quasi fisicamente lo scorrere dei pensieri ed infine entrare nel più profondo mondo interiore, lo ha aiutato a conoscere nuove dimensioni di sé e ad acquisire nuove competenze. 

La sua stessa vista – dice Kagge – ha avuto un inaspettato incremento di prospettiva e di accuratezza grazie a quel profondo silenzio, portandolo a vedere le sfumature e la meraviglia dei giochi cromatici di quella che sembrava essere solo una piatta landa di neve bianca gelata: “E’ come se i miei sensi si fossero allungati fino ad abbracciare tutto quello che mi circondava, (…) mi sentivo parte di quella natura”.

In questo senso il silenzio è il presupposto per diventare osservatori pienamente partecipanti di ciò che la nostra parte più profonda ci sta comunicando ed è essenziale per fare quello spazio interiore necessario ad accogliere ciò che l’ “altro” sta realmente esprimendo.

Siamo sinceri però… avere a che fare con il silenzio non è cosa facile.

Non siamo abituati, ci può imbarazzare.

Ricordo i miei esordi di coach quando, dopo una mia domanda, il coachee taceva e si prendeva magari un lungo spazio per pensare.

Le prime volte la mia mente cominciava a correre domandandosi che cosa fosse meglio fare… “Riformulo la domanda?”, “Gli dico che può prendersi tutto il tempo?”, “Faccio un colpo di tosse?”, “Mi schiarisco la voce?”.

Con il tempo quel silenzio è diventato qualcosa di prezioso.

Non è più uno spazio vuoto, si è trasformato in un intervallo ricco di significato, un momento pieno di segnali e informazioni: come se il flusso dei pensieri, delle emozioni e delle intuizioni che la domanda ha suscitato nel coachee, si potessero percepire quasi fisicamente.

Il silenzio e l’attesa sono diventati per me parte fondamentale della comunicazione con i miei coachee. 

Noel Bauza “Antartica”

Chi ama la musica sa bene che il silenzio ha un potere formidabile nell’armonia e nell’esecuzione dei brani.

È il suono del silenzio che può essere più prezioso di tutti gli altri suoni.

Per chi ha una posizione di leadership, per esempio, la disciplina del silenzio è presupposto per una comunicazione autentica ed efficace.

Allenarsi al silenzio, magari riservandosi momenti in cui ci si impone di fare silenzio e di stare nel silenzio, aumenta la capacità di comunicare l’essenziale stando “nel momento”.

Non temere il silenzio aiuta sé stessi e gli altri a lasciare spazio alla riflessione e a comunicare senza pressioni o ansietà.

Riempire i meeting di parole o le giornate di meeting crea spesso un clima di “frastuono” comunicativo che invece di produrre effetti di allineamento e coordinazione spinge le persone alla disconnessione.

Avere cura del silenzio, allenarsi al silenzio, personale e di team, agevola il gusto di comunicare e dà valore a ciò che si comunica.

Silenzio e attesa consapevoli sono elementi rivoluzionari, un cambio di mentalità spesso radicale, ma fondamentale per aumentare le nostre capacità “espressive”. 

Se dovessi sintetizzare i passaggi che mi hanno permesso di accogliere il silenzio come elemento di comunicazione e condividerli con chiunque desiderasse acquisire un “coaching mindset”, direi di allenarsi a:

  • Accogliere con coraggio il silenzio
  • Stare in modo consapevole nel silenzio
  • Lasciarsi interrogare dal silenzio
  • Espandere la connessione attraverso il silenzio

Per allenarsi si può cominciare dal primo passaggio.

Provare, per esempio, prima di un qualsiasi meeting, a chiedere di fare silenzio per 60 secondi, semplicemente guardandosi.

Sicuramente è già un’impresa coraggiosa.

Basta non demordere, se c’è costanza e continuità nel ripetere l’esercizio, pian piano si potrà scoprire quanto quei 60 secondi siano fruttuosi: diventeranno quasi un’esigenza per i partecipanti che ne gusteranno l’effetto sulla buona riuscita dell’incontro.

È la forza magnetica del suono del silenzio.

Write a comment